lunedì 12 settembre 2016

Scrittori al 'sottoPRESSione' 2016


Anche in questa nuova edizione del Festival del giornalismo locale c'è spazio per le presentazioni di nuovi libri e nuovi scrittori. L'evento ideato e organizzato a Canino da Luigi Gasperini e altri importanti collaboratori è quest'anno dedicato a tre specifiche tematiche: immigrazione, donne e territorio. Qui potrete trovare tutte le informazioni al riguardo.
Dal 16 al 18 settembre, in attesa del Festival della letteratura breve per la settimana successiva e che abbiamo già menzionato, ci saranno proposte cinque presentazioni:
'Il dolore del tiglio' di Laura Scanu, ed. Twins Edizioni;
'Chi eri tu' di Anastasia Marcucci, ed. Kimerik;
'Il condominio degli amori segreti' di Fabrizio Franceschini, ed. NewtonCompton;
'Io e lei' di Alida Mazzaro, ed. Edizioni Mediterranee;
'Pieces of life' di Martina Reinkardt, ed. Gruppo Albatros Il filo.

sabato 10 settembre 2016

Asteniamoci dal giudizio.

Ritorno sulla battuta strada del giudizio. Avete presente le persone che sparlano di persone che sparlano? Io, col concetto di giudizio, sono messo all'incirca così; veramente male.
Giudicare? Stasera sì. Chi? Elvio Ravasio per il suo ottimo stile di scrittura (complimenti per la ripubblicazione dell'intera saga 'Le cronache dei cinque regni' con Gribaudi Editore) e per la passione che mostra verso il mondo intero della scrittura, che conferma con gli spazi dedicati ai libri di altri scrittori. Lo ringrazio.
Chi? Le persone che organizzano Premi Letterari con regolamenti atti soltanto a incassare denaro. Non tutti gli organizzatori di Premi sono così. Molti lo sono. Diffidate.
Chi? Arduino Sacco, il quale ringrazio per gli inviti e le offerte recenti ma che non editerà mai più un mio libro.
Chi? La solita nota 'poetessa' di Roma -so che molti di voi diranno "ancora con questa storia delle poesie"; mi è atavica, questa polemica- poichè, se sono considerate opere i suoi componimenti, allora la strada è aperta per migliaia di giovani poeti italiani. Bello, senza volerlo è divenuta fautrice di democratizzazione artistica. Frivola, elementare, sciocca ma pur sempre poesia democratica, la sua.
Chi? Il Comune di Tarquinia che ha incassato dalla Regione Lazio ottantamila euro per il Festival della Letteratura breve. Al vincitore della gara per organizzare il Festival suddetto spetteranno otto (leggasi otto) giorni per: ingaggiare autori, artisti, lavoratori; promuovere il Festival con quanto in capitolato d'appalto, cioè produzione e distribuzione di 300 manifesti, 1000 libretti, 20000 pieghevoli, striscioni, un sito web, editing di video. Vedremo come andrà, perciò siglo questa come 1° parte della vicenda.
organizzare una manifestazione di questa entità: un tempo irrisorio per un evento di qualità, qualunque operatore vinca a meno che non sia dotato di “preveggenza”, tenendo conto anche degli ingaggi con autori e artisti! E che dire del poco tempo a disposizione per una promozione adeguata, considerato che il capitolato prevede consistenti oneri a carico dell’affidatario, tra i quali: realizzazione e distribuzione di tutto il materiale pubblicitario, tra cui 300 manifesti, 1.000 libretti, 20.000 pieghevoli, striscioni, realizzazione sito web dedicato e documentazione video.

fonte: http://www.tarquinia5stelle.it
per organizzare una manifestazione di questa entità: un tempo irrisorio per un evento di qualità, qualunque operatore vinca a meno che non sia dotato di “preveggenza”, tenendo conto anche degli ingaggi con autori e artisti! E che dire del poco tempo a disposizione per una promozione adeguata, considerato che il capitolato prevede consistenti oneri a carico dell’affidatario, tra i quali: realizzazione e distribuzione di tutto il materiale pubblicitario, tra cui 300 manifesti, 1.000 libretti, 20.000 pieghevoli, striscioni, realizzazione sito web dedicato e documentazione video

fonte: http://www.tarquinia5stelle.it
per organizzare una manifestazione di questa entità: un tempo irrisorio per un evento di qualità, qualunque operatore vinca a meno che non sia dotato di “preveggenza”, tenendo conto anche degli ingaggi con autori e artisti! E che dire del poco tempo a disposizione per una promozione adeguata, considerato che il capitolato prevede consistenti oneri a carico dell’affidatario, tra i quali: realizzazione e distribuzione di tutto il materiale pubblicitario, tra cui 300 manifesti, 1.000 libretti, 20.000 pieghevoli, striscioni, realizzazione sito web dedicato e documentazione video

fonte: http://www.tarquinia5stelle.it

lunedì 11 luglio 2016

GENERAZIONE (incontro a cosa sei andata)

Strano non sia all'amore
dedicato l'ultimo pensiero,
all'ultima velleità dell'ardore

che oggi il vago ricordo rende vero.
E' mesto, invece. Inquisito
e inquisitore del raggiro, foriero

d'insoffribile rimorso mai sopito.

Incontro a cosa sei andata,
mia triste generazione dell'altrui
stesse colpe, così voluta e sperata

a schiarire infranti anni bui
e ti prostri, invece, a portar macerie.
A cosa, se ancora come fui

mi vedo, se capace di deleterie
gesta nella speranza di un segno
che non ti sarà dato. Miserie

e attesa, questo hai generato.

Scema e qui svanisce la voglia
di cambiare il mondo? Ti renda,
quel rimorso che di quiete ti spoglia,

meno sorda a chi ripose ammenda
nell'acculturarti la consapevolezza.
Loro, era la speranza stupenda

di figli capaci di nuova brezza.
Magnifica e futile generazione
sul tuo mare intorno d'immondezza.
I Rivoluzionari
(il saluto). Fummo invece lieti d'assaporarci il destino, al tessere una trama all'atto stabilito. Un bacio sottile sulle sopracciglia mi fu calore; specchi i suoi occhi, che rimandavano la fervida mia attesa di scomposta rivolta e mute, infine, le nostre labbra, cenere il loro silenzio che copriva il crepitio del focolare. Tra i mille abbracci, cinica eppure quella lacrima: nei suoi rivoli veloci vi lessi la mia fine.
(il viaggio). Seguimmo quindi le distanze, portandoci sulle sponde di quanto non avrei mai creduto, di sconosciute correnti. Pomeriggi piovosi allettarono l'udire di più anziani consigli, mattini più tersi ispiravano la trama del nuovo. Offrii lealtà e codardia e quanto di umano possibile, posai un libro da due soldi sopra una tavola pesante imbellita di regime. Dedussi, infine, l'eterna mia incapacità di sottrarmi al mero simbolismo.
(il ritorno). Non seppi come, non ricordo quando. Fu forse l'unico atto non conservatore, il mio ritorno. Porsi la testa alla sua robusta spalla che mi accolse sconfitto, era la profondità dei suoi occhi che imparai a vedere dietro una lacrima ancora, lenta, tra le rughe che la spandevano.

domenica 22 novembre 2015

L'avaro

(tratto da Brevi Storie Velleitarie, ed. Sacco -2013-)



Bruttezze. Orde di bruttezze egli era, roccia schifata e vago senso estetico. Di tali detestò anche il perdono poiché, si pensò nell’ambiente, ne fu conscio e vigile nel curarli. Con gli anni divenne giovanotto, uomo ed anziano, deturpante e deturpato.

Lui stesso, nel ’92, si definì catino ignobile da gettare mentre mostrava il borsello gonfio di denaro. Abbandonò il suo cane sotto le scale di casa, nella parte vecchia della cittadina. Gli gridò di non entrare più, di dimenticare quell’uscio perché la sera prima vide nei suoi occhi Buddha, Maometto, Jahvè, il cristianesimo, lo scettico, il comunista, Gandhi e l’immanentismo, tutto insieme. Una vallata di stili di vita.

Abiurò i modelli paritetici e si profuse nel capitalismo più crudo e pragmatico, l’avarizia. Accumulò una fortuna traendo monete da ogni possibile azione, limitando al massimo le operazioni inverse. Forse per questo minacciò il cane e molte persone con un bastone di ciliegio.

Eppure, nel 1997, il secchio di manchevolezze atroci iniziò a spendere quei dannati soldi. Dapprima in un comprensibile stato nervoso e con maniacale occultismo, in modo più naturale dopo, portava a casa ogni lunedì strani pacchi senza diciture.

La curiosità dei vicini si esprimeva in mille bisbigli tra finestre contigue, ai portoni con la scusa dello zucchero, nel bar del rione. Le ipotesi coprivano un ventaglio enorme di possibilità, dagli oggetti saffici a quelli di culto. Da un’immonda perversione ad un quanto mai probabile perdono divino.

E venne il giorno dello sbigottimento.  Sul portone  marroncino di casa, con due scalini esterni ed un breve invito, inchiodò letteralmente per i quattro angoli una targa di plastica rossa. Le scritte bianche dicevano “ Or ecco, vi porgo la mia contemplazione circa l’infinito, universo e mondi innumerabili. G. Bruno”.

L’uomo così viscido da impietosire  una medusa parve ancor più strambo agli occhi paesani. Dunque pessimo, cattivo e psicolabile.

-Che la pazzia lo porti presto via- si soleva rispondere quando l’interlocutore lo nominava. Due settimane dopo (mi pare di ricordare), attaccò un secondo cartello che recitava “ Un infinito in atto non può essere pensato. L.L.Radice”, e fu il caos.

La cosa per alcuni era alcol sul fuoco, ad altri stimolò un certo effetto tra indovinelli, scommesse, possibili percorsi filosofici circa l’eventuale terza targa.

Il miscuglio di manchevolezze , pusillanimità ed ostentazione (poiché dalla prossima mossa pendeva metà paese) andava dritto per la sua strada! Un lunedì il furgone nero dei trasporti veloci chiese nervoso a chi incontrò nelle strette viuzze quale fosse la casa del vigliacco. Allo scarico della grande cassa in legno assistettero una decina di casalinghe. Alcune con le mani avvolte nel grembiule e le maniche tirate al gomito, ma tutte in silenzio attorno alla pedana idraulica. Lui sbraitò un paio di volte contro il camionista per i modi precipitosi con cui maneggiava la cassa; nel contempo, guardava accigliato e torvo l’assemblamento  formatosi attorno.

Ricordo molto bene la ‘riunione’ aperta a tutti, convocata nella piazza adiacente il bar rionale in una sera dell’estate 1999.

La situazione necessitava di un punto: l’andirivieni dei pacchi era continuato al solito ritmo, e questo snervava chi si prestava a  carpirne il contenuto; la terza targa, se mai avesse dovuto attaccarla, era in grave ritardo rispetto alle altre.

Perciò, un po’ per l’attesa, un po’ per il nervosismo, il rione ed il paese tutto soffrì di una sorta d’ansia. Essendo responsabile della salute pubblica, prese subito la parola il sindaco che dettò regole e fini della riunione. Anch’io feci parte del gruppetto col compito di scrivere i concetti essenziali esposti durante l’incontro, per poi farne un razionale sunto. Scartammo quindi le mere lamentele (la maggior parte degli esposti, perché i più si sentivano invasi nel privato dal comportamento dell’immondo; in famiglia si litigava spesso per le diverse opinioni), e stilammo varie tesi.

Una, ad esempio, affermava che il vecchio, non soddisfatto delle proprie empietà, ci giocava un tiro mancino; le casse erano vuote e le targhe uno scherno a chi amava i fatti altrui. Una seconda faceva capo alla corrente politica dell’assessore alla cultura, per cui il vecchio, rapito dal fascino dell’infinito, cercava le parole che fugassero gli inevitabili dubbi che un tale concetto crea. Non è facile trovarle e nelle casse c’erano libri, per cui la terza targa sarebbe comparsa alla lettura di una giusta definizione.

Basso e tarchiato, il polso pieno di forza latina, la barba dura da non potersi radere ogni mattina. Così l’addetto comunale alla cura del verde si alzò dalla sedia. Con un ultimo veloce raddrizzamento dei ginocchi fece volare questa per un paio di metri nella piazza, creando silenzio.

-Finalmente- mormorarono molti.

Mi parve chiaro che quell’uomo, visto raramente passeggiare nel paese, fosse un caposaldo della piccola società. Lo sguardo intenso si posò sugli astanti, prima a sinistra, poi a destra.

-Ecco il botto finale- mormorarono altri. Mi parve chiaro, allora, che quell’uomo taciturno e solitario fosse una di quelle persone caratteristiche di ogni paese. Le sopracciglia ebeti, la bocca semiaperta e la lingua appoggiata al labbro inferiore.

Chiunque fosse stato, espresse soltanto cose già dette.

Nel 2000 un incendio bruciò le casse, le targhe, il vecchio ed il suo portone. Quasi la casa crollò, tant’è vero che i vicini dovettero attendere sopralluoghi e consolidamenti prima di tornare alle loro abitazioni.

Le fiamme, indomate più per la ristrettezza delle vie che per la lontananza dei soccorsi, non lasciarono molto su cui ragionare. L’intera comunità si sentì orfana di risposte, mentre il perito accluse sul referto la stampata ‘accidentale’. Tra tutte le fini degli uomini cattivi, quella data dalle fiamme è la più classica. Mi ripetei, tirando un calcio al ciottolo, che è anche infinitamente dolorosa.


mercoledì 7 ottobre 2015

Fiumi di Marco Di Pietro
Esce in questi giorni il libro Fiumi, distribuito in cartaceo dalla FastBook e dunque disponibile in oltre 4.000 librerie presenti sul territorio italiano, sia di catena come Feltrinelli, Ibs, Mondadori che librerie indipendenti. Online è presente sia in cartaceo che in eBook. 
Librerie di catena... Mondadori... mi viene da pensare all'amico Franco, non so il perché; lui probabilmente sì. Anche la quarta di copertina, a differenza del precedente Brevi Storie Velleitarie, dove avvertivo del mero - e fisicamente necessario assemblaggio piuttosto incoerente di temi e di stili, incapace forse di ripagare il lettore non già del denaro, quanto del tempo prezioso perduto (a detta dell'autore), un interessante e originale caso artistico secondo Gianni Mauro, è invece commerciale, quasi referenziale. 
Non era prevista questa nuova uscita: da oltre un anno lavoro su un libro sostanzialmente composto da tre lunghi racconti che l'editore vorrebbe far divenire almeno due romanzi, cioè due pubblicazioni singole; semplicemente non riesco a tradire le tre storie. Fiumi contiene dodici racconti, Brevi 24 storie; per me, soltanto tre in un volume rappresentano già un enorme sforzo.

lunedì 5 ottobre 2015

Tratto dal racconto 'Fratello',    Fiumi (ISBN-13 9788893061865)


Per diversi motivi, che raccontare lo avrebbero gettato nella stessa impasse iniziale che si era imposto superare, a trentadue anni Walter Setti decise di scrivere un lungo racconto che esprimesse un chiaro ed esplicito intento politico. Con tale obiettivo, iniziò a valutare diverse situazioni capitategli in quegli ultimi giorni di un agosto troppo piovoso: una giovane donna percorreva un breve tratto del corso storico di una cittadina subalpina vivendo varie micro situazioni, un ultranovantenne piuttosto discolo ne sa e ne racconta, una riflessione sullo storico cartello appeso al Duomo ‘Milano si inchina alle vittime innocenti e prega pace’. Dopo appena poche righe, però, le storie sembravano inoltrarsi verso proprie identità e lo scopo prefissato le torceva irrimediabilmente in artifici sciatti di cui lo infastidiva anche la rilettura. Un paio di settimane appresso, considerò i versi essere forse la forma più adatta all’intento; avrebbe potuto superarne la tipica mancanza di un adeguato ordine cronologico inserendo più immagini e spazialità, a scapito di eventuali sterili narrazioni. Scarabocchiò per tre giorni inutili tentativi, fermandosi alle solite terze righe senza alcun valore civico, tanto meno estetico; l'ultimo giorno, incitandosi e sfoggiando idonea presunzione, volle aggiungere otto versi ai commenti di una poesia dedicata a Pasolini che ritenne vuota e formale, edita online da una poetessa capitolina in piena onda di successo. Tutto tacque, nel post. Per il nervosismo crescente – non ne trovò altri motivi – aveva preso a sudare in modo abnorme, fatto che giudicò deplorevole alla presenza di altri e quindi si ostinò nel più completo isolamento, chiuso dentro il piccolo appartamento al quarto piano del palazzo nella solita città. Riprese il quotidiano gettato sulla poltrona qualche giorno prima e ne invidiò le tante parole impilate in colonne chiare e sicure, che soltanto al guardarle si sentì reo di manifesta incapacità. Vi lesse, nel titolo dell’articolo di spalla, dei tre scontri bellici del momento: Ucraina, Palestina e Libia e desiderò, famelico, quell’esposizione così ardita e nello stesso tempo serena dei fatti, e le capacità di chi, quotidianamente, la professava.

Ne seguì, finalmente, l’inevitabile sconforto di una sconfitta che lo gettò nel vuoto a occhi aperti, così profondo e intenso che ebbe l’impressione durare delle ore, pur sapendo di viverlo per pochi minuti. In quelle ore oniriche si spogliò e volle galleggiare a lungo nel vuoto, sentirlo come un inatteso non giudicabile e difficile da carpire, di cui rimase solo la possibilità di supporlo. Adesso, negli istanti in cui la giovane donna percorreva una via del centro, ma semidistrutta di Tripoli, la voce dell’anziano raccontava l’ingloriosa storia dell’impero italiano; non avrebbe scritto di destra e sinistra, delle nazionali scelleratezze in bilico sul mare, ma della Libia e dell’Albania, della Somalia e dell’Abissinia. Non più l’esigenza politica attuale, sentiva viva; la voce che ora udiva era tristezza storica, era colpa più antica e insita, erano Crispi e Mussolini due di noi, Baratieri e Graziani, mediocrità e ignominia. Avrebbe sicuramente accennato ad un ancor più remoto, al Gran Ducato che abolì la pena di morte o ai primi Comuni al mondo, per potersi infine chiedere qual è, di queste, l’Italia, chi siamo noi. Corrotti e corruttori, criminali di guerra e vili alla sconfitta oppure fautori d’immense conquiste civili? Nel vuoto lo sorprese un dejavu che lo destò: nelle ore di quel minuto Crispi, pronto a qualunque sacrificio per salvare l’onore dell’esercito e il prestigio della monarchia, e Menelik, col suo popolo, gli suggerirono inverosimilmente un’Italia ancora artefice di progresso. Fummo i primi, infatti, a dimostrare che la rivolta al colonialismo era fattibile, che il conquistatore bianco poteva essere affrontato e vinto, che era possibile tornare liberi e indipendenti. 
....