sabato 3 ottobre 2015

I TRE VECCHI  (tratto da Brevi Storie Velleitarie)


Rasna il vecchio visse sul modesto poggio tufaceo nella vallata del Fiora e in un breve suo intorno. Nella  piana sommità costruì una casa in legno di conifera e un piccolo orto, che poi tralasciò per dare spazio ai suoi animali.
La terra non era gentile, le piogge dilavavano l’humus fino al tufo duro; ma vi crescevano bene mimose e basse querce che davano ombra e protezione. E sul tufo prendevano forma viottoli e scalini per ogni direzione fino alla vasta piana sottostante, ricca di grassa terra frammista a pietre.
Lì, Rasna portava le sue cinque pecore a pascolare e sedeva a guardarle. Era conosciuto come uomo mite e salutato dai passanti, ma raramente lo vedevano nella città vulcente che si estendeva laggiù, nell’altra sponda del fiume.
Viveva le gioie, gli incubi, i suoi spettri con la forza della casualità. Era pronto ad accogliere ciò che doveva accadere e spesso sorrise a persone invisibili. Ma quando ne sentiva la necessità, accompagnava le pecore a una buca di acqua calda e vi si immergeva a lungo. Al ritorno sentiva la pelle più liscia e alla sera dormiva già come un sasso. Cani e gatti dormivano con lui.

Solo poche case, diroccate da non molti anni; il vecchio ne abita una che per tetto ha lamiere di alluminio e fuma la pipa. Il suo pesante giaccone di lana senza maniche ne risalta le spalle, ancora ben robuste.
Tiene nella mano una zappa, con l’altra si toglie di bocca la pipa spenta mentre si apposta sullo sgabello quasi alla fine del breve pianoro.
Riaccende la pipa e osserva la valle giù in basso; innevata come tutti gli inverni, ogni anno meno. E’ stanco, ha zappettato il ghiaccio del sentiero che dalle case scende allo spiazzo. E’ quella la sua strada, non ciò che rimane del vecchio asfalto là dietro.
Guarda la valle ed i monti Sibillini; oggi è freddo anche per la sua pelle dura e imbrunita dal riflesso. Io sono qui con lui, seduto sul masso.
Guardo la valle; sono arrivato al paese abbandonato dopo una buona scarpinata e il vecchio mi ha offerto un caffè riscaldato sulla stufa a legna. Non riesco a dargli un’età precisa, l’uomo è di poche parole e preferisce il silenzio.
Anch’io, col badile, ho fatto la mia parte spalando la neve. Siamo stanchi e guardiamo la valle. Penso ad una donna che avrebbe potuto essere qui, con noi.

Non so come vivrà il terzo vecchio. Forse sarà un temporale nel cielo terso o rugiada quotidiana. Brucerà cataste di legna per farne carbone nell’epoca dei barbecue  a pannelli, oppure sarà faro di progresso. Non so, davvero. Ma il falco, che ha occhio lungo, mi ha rivelato un fatto che ormai ritengo certo: il vecchio sarà bimbo.
Ora, quando il falco mi ha sussurrato ciò, ne sono rimasto titubante e ho guardato l’amico dritto in faccia. Lui si è dapprima offeso per la mia perplessità, poi ha compreso che in effetti non è cosa facile da digerire. Così ha messo sul piatto la sua parola, la sua dignità di leale cacciatore e io non ho potuto fare altro che convincermi.
Non saprei dirvi neanche se sia bello accarezzare un bimbo vecchio. Certamente lo è accarezzare un vecchio oramai estraneo alle preoccupazioni, un vecchio bambino. Comunque sia, abbiatene cura.

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